Tamponata

Roberto Beccantini8 novembre 2020

Tanto tamponò che non piovve. Caddero solo le gocce di Cristiano, il solito Cristiano: gol (su tocco di Cuadrado, il regista occulto), palo e punizione (pugni di Reina). Inzaghino, come sappiamo, era senza Lucas-Leiva, Immobile e Strakosha, bloccati dai «protocolli» ballerini di Lotito. I tamponologi sono già al lavoro.

A noi non restano che le zolle, modeste, del campo. Modeste come la partita. Era l’ora di pranzo, il vantaggio facile (e meritato per l’impatto, per l’azione) avrebbe dovuto spingere Madama a una partita meno attendista, meno amletica. La Lazio non poteva che affidarsi alle serpentine di Luis Alberto e al fisico di Milinkovic-Savic. L’idea di Pirlo è chiara (a lui): p2, pressing & palleggio, il problema è il ritmo, non tale – spesso – da spiazzare gli avversari. Morata ha fatto il sacrestano di Cierre, mentre le avanzate di Cuadrado, più ancora che i tocchi di Bentancur o gli strappi di Rabiot, costituivano l’unica scintilla della manovra. Il colombiano: un terzino-ala.

E la Lazio? Serena, con il cuore in tumulto ma l’orgoglio affamato. Ha cercato, con Acerbi e Luiz Felipe e un discreto filtraggio, di limitare i contropiede. Ha aspettato il raddoppio della Juventus e l’ingresso di Caicedo. Del primo, solo sfiorato, nessuna notizia. Dell’altro, viceversa, il canonico cerimoniale. Caicedo entra (in largo anticipo, questa volta), fa a sportellate e dalla lotteria del 95’ – come a Torino, come in Russia – estrae una pepita di gol, complica la piccozza di Correa.

E la Juventus? Sempre lì, a corricchiare, metà possesso e metà piazzamento, centrocampo piatto, Kuluseveski ingolfato nel traffico, lui che ha bisogno di spazio per buttarsi. Uscito il Marziano, acciaccato, è crollata la percezione di pericolo. E così solo Lazio. Fra le nuvole di fumo di Dybala.

L’asticella

Roberto Beccantini4 novembre 2020

Scrivere, o non scrivere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente glissare colpi di cipria e dardi di ridicola euforia o prender armi contro una banda di brocchi e, opponendosi, por lor fine? Censire, riverire.

Quando l’asticella si abbassa, gli Amleti della Juventus si alzano. Due a zero a Kiev, quattro a uno alla Puskas Arena di Budapest. In mezzo, il banchetto catalano allo Stadium. Ottavi in tasca: a volte, la Champions ristora. Per un’ora, sino alle comiche del portiere e dintorni, la squadra di Pirlo aveva giochicchiato. Il pubblico, la pioggia, i ritmi lenti: le condizioni ideali per chi ha voglia. E Morata ne aveva. Belli i gol: il primo, in avvio, su lancio di Bonucci e cross di Cuadrado; il secondo, in girata, su servizio di Cristiano e velo di McKennie.

Occhio, però, alla sindrome di Démbelè (pur di far segnare il marziano, la quarta scelta non ha tirato) e al suo opposto (pur di non far segnare Morata, Cierre ha tirato e sbagliato). Dettagli. Pirlo aveva parcheggiato Dybala e inserito Ramsey, poi stiratosi (naturalmente). C’era il solito Cristiano agitato e un Chiesa, almeno lui, pronto a lanciarsi nello spazio. Con Arthur che fagocitava palloni e tocchettava corto, per la gioia degli statistici.

In generale, e sempre a «media luz»: brandelli di pressing e pochi smarcamenti. E il Ferencvaros? Immagino, da lassù, i moccoli del colonnello Ferenc: c’era una volta la scuola danubiana. Una volta. Bentancur ha avvicendato Arthur e l’ha fatto con il ringhio del buttafuori. Poi Dybala. Entrato al posto di Morata, e subito in modalità torello, va a referto con un gol e un autogol, sintesi delle gag di Blazic, Dibusz (soprattutto) e Dvali. La rete di Boli ha fissato un 4-1 in trasferta che, come sempre, dividerà
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Ammaina barriere

Roberto Beccantini3 novembre 2020

Ero stato un po’ tirchio, nel leggere Real-Inter: 1-1. Sono andato vicino al pareggio, non allo spirito dell’ordalia, degna in tutto e per tutto del calcio usa e getta post Covid. Anche se mancava Lukaku, l’attacco ne ha fatti altri due, con Lau-Toro (splendido il tacco di Barella) e Perisic (chirurgico, per una volta). Il problema di Conte resta la fase difensiva. Un delirio, in uscita: Vidal, Hakimi (suo l’assist per Benzema); e, più in generale, le operazioni di rientro.

Benzema e Sergio Ramos, di cabeza, avevano portato la trama su un risultato fin troppo obeso. La reazione dell’Inter è stata all’altezza. Poteva tornar sotto, poteva scappare. Poi i cambi di Zizou. Sembravano addirittura avventati, gi ingressi di Vinicius e Rodrygo, ma proprio loro hanno firmato il 3-2: passaggio del primo, rete del secondo. In contropiede, l’arma che più e meglio di un trattato racconta questo periodo storico da avanti Savoia: un po’ perché le porte chiuse hanno seppellito il fattore campo e un po’ perché la pandemia ha trasmesso smanie infantili che travolgono, spesso, la scienza delle lavagne.

Preziosi, gli spiccioli di Modric. Ripeto: partita pazza, come pazzo era stato il cappotto del Borussia allo Shakhtar. Mi ha deluso Hakimi, una delle possibili chiavi per aprire le fasce. E un Vidal così arretrato non mi sembra proprio la soluzione ideale. L’Inter è ultima, adesso: deve darsi una mossa, il girone è un gran casino.

Dal luna park di Valdebebas al poligono di Bergamo. Un piccolo Liverpool ha affrontato il grande Liverpool. Morale: zero a cinque. Il gioco (del Gasp o di chiunque altro) ti porta fino a un certo punto, poi tocca ai giocatori. E se Ilicic resta in panchina, il Papu arranca e dalla gabbia esce solo un leone (Zapata, due traverse), you’ll never walk alone ma bye bye. Brani di aggressione, Klopp, e via di lancio lungo e pennellato
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